S. Messa per i funerali di don Sandro Vigani
(Eraclea / Chiesa parrocchiale S. Maria Concetta, 31 luglio 2024)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissime, carissimi,
desidero esprimere la mia affettuosa vicinanza a mamma Eugenia, ad Antonella, a Marco, a Susanna, agli zii don Roberto e Lucia, a tutti i familiari, agli amici e a quanti erano legati, a vario titolo, al nostro carissimo don Sandro.
Don Sandro Vigani ci ha lasciato dopo una malattia – possiamo dire – breve e durante la quale ha combattuto con forza almeno fino a quando gli è stato possibile.
Gli ultimi mesi, quelli trascorsi dall’inizio dell’anno ai suoi ultimi giorni, lo hanno segnato e cambiato profondamente nel suo modo di pensare, di parlare, d’essere.
Ancora esteriormente in salute – per così dire – l’avevo visto in occasione dell’incontro con i preti del Vicariato di Eraclea nel marzo scorso; si stava preparando la Visita pastorale in questo territorio ed eravamo a Zelarino, al Centro Pastorale card. Urbani.
Durante la Visita pastorale, poi, ha potuto essere presente solo ad un incontro al quale, peraltro, non è potuto rimanere fino al termine perché non si sentiva bene. Ricordo ancora, con tristezza, gli incontri con lui alla clinica universitaria di Verona, all’ospedale di Treviso, all’hospice di San Donà. E, infine, le telefonate quasi ogni giorno; talvolta la conversazione era più prolungate, altre volte era più breve perché dipendeva sempre dallo stato di salute del momento.
Sì, è proprio vero: i tempi e i modi di Dio non sono i tempi e i modi degli uomini. E, talvolta, sono davvero incomprensibili per la nostra logica. Qui risuonano, sempre attuali, le parole del profeta Isaia: ” …i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9).
Fratelli e sorelle, siamo convenuti in questa chiesa per raccomandare il nostro don Sandro alla misericordia di Dio, il vero Padre che è nei cieli – il solo che conosce il cuore dei suoi figli – e la nostra preghiera s’innalza a Dio perché don Sandro possa essere accolto nel suo abbraccio eterno nella pace.
Siamo nella stessa chiesa che lo ha visto, bambino, giungere al fonte battesimale. Abbiamo ascoltato nella prima lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Romani, queste parole: “…non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?” (Rm 6,3). Per il cristiano la morte è il momento dell’incontro con Cristo. E san Paolo così continua: “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).
Sì, è Dio – il Padre che ci ama – a disporre i tempi e i modi che, non sempre, risultano comprensibili a noi uomini che abbiamo tempi e modi diversi. E qui, come credenti, siamo chiamati ad un difficile e grande atto di fede in Dio e nella sua paternità onnisciente e misericordiosa.
Il Vangelo appena proclamato è stato scelto da chi era legato in modo particolare e vuole bene a don Sandro, soprattutto i suoi fratelli.
Questo brano evangelico (Gv 15,12-17) è una parte del più ampio discorso che Gesù rivolge in modo accorato ai suoi discepoli; è uno dei discorsi più intimi, più confidenziali, più personali di Gesù ai suoi discepoli che chiama, appunto, “amici” parlando loro di amore e dicendo che Lui li ha scelti.
È un discorso – è bene sottolinearlo – che si apre al futuro, alla vita eterna, e che risuona nel contesto dell’Ultima Cena, il momento dell’addio; in esso ascoltiamo le parole con cui Gesù si accommiata dai suoi discepoli, prima della morte, ed è un discorso per noi sempre attuale e che, allo stesso tempo, intende rincuorare e rassicurare i discepoli, ciascuno di noi. La vita va oltre la morte e, perciò, il saluto dell’addio è, in realtà, un arrivederci.
Il testo si può sintetizzare in tre sole parole che ne costituiscono il senso più alto; sono tre parole semplici ma, allo stesso tempo, ricchissime di significato, tanto sul piano umano quanto su quello cristiano.
Sono parole necessarie per la vita nostra di discepoli del Signore, come sono necessari il cibo, l’acqua e l’aria perché senza cibo, acqua e aria non si vive, non si può vivere, anzi si muore.
Le parole in questione sono “amore”, ”amicizia”, “scelta”; in esse troviamo concentrato l’intero testo del Vangelo appena proclamato. Riascoltiamolo, quindi, richiamandolo per sommi capi:
12 Questo è (1) il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
14Voi siete (2) miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
16 Non voi (3) avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga…
Carissimi, ciascuno di noi sa, anche partendo dalla propria esperienza personale, dal proprio intimo, verso che cosa una persona tende nella sua vita. Ebbene, che cosa – per una persona – è più desiderabile? A che cosa aspira, in modo particolare, nella sua vita? La risposta spontanea – anzi scontata – è: noi vogliamo essere felici. Sì, essere felici e sempre, non per un po’ di tempo! L’uomo è immagine dell’eternità ed è sorretto dall’amore eterno di Dio.
Ma la felicità non è sentirsi appagati o indipendenti, come chi vuole realizzare ad ogni costo il proprio io, assaporando l’emancipazione dell’io e illudendosi, così, che la felicità stia nel decidere in perfetta autonomia, senza chiedere permessi, in piena autonomia ed autosufficienza.
Ritorniamo, però, a quanto abbiamo appena accennato sulla felicità. La felicità non è un’entità, qualcosa di astratto; non è un risultato da ottenere o un obiettivo prestigioso da conseguire e che, tuttavia, una volta conseguito si dimostra insoddisfacente, nonostante tutto quello che sembrava prometterci.
Essere felici è qualcosa di diverso e, ad un tempo, più semplice ed insieme più complesso. Vuol dire, infatti, avere delle persone e una comunità che ci amano e che noi, a nostra volta, amiamo e che ci fanno sentir vivi, una cosa sola noi e loro. Sì, è avere qualcuno da amare, che ci è amico e ci sceglie (ed anche noi lo scegliamo) ogni giorno – nel bene e nel male delle nostre persone – e che, nonostante i nostri reciproci limiti e le nostre reciproche fragilità, ci vuole bene, ci continua a scegliere e ad esserci amico. E noi, a nostra volta, facciamo lo stesso.
L’ultima parola del Vangelo su cui vorrei soffermarmi riguarda l’essere “scelti”. Chi ci “sceglie”, ci vuole con sé e per sé e, già solo per questo, in qualche modo, ci dona “amore” e “amicizia”; scegliere è quindi e in fin dei conti dare e ricevere fiducia, fare entrare l’altro nella propria vita ed è una forma particolare dell’amore.
Possiamo, quindi, dire che “amore”, “amicizia” e “scelta” costituiscono un’unità indivisibile nella vita di una persona e di una comunità. ”Amore” vuol dire “vicinanza” e “affetto”. ”Amicizia” vuol dire “condivisione” e “complicità”. “Scelta” vuol dire: “tu mi appartieni”, “non ti lascio solo”. Questo è anche lo specifico di ogni famiglia cristiana.
Mi sembra che tutto ciò – forse inconsapevolmente – sia quanto don Sandro ha consegnato al post condiviso sui social dopo che aveva parlato del suo male in modo riservato solo ad alcune persone e chiedendo loro esplicitamente di mantenere la riservatezza.
Poi sono arrivate queste parole, condivise con tanti, e che possiamo cogliere come espressione ed eco delle parole che Gesù aveva rivolto ai suoi discepoli: “Ho scoperto di avere un tumore al pancreas tra l’altro abbastanza diffuso. La vita in questi casi ti cambia e ha cambiato anche me. Non ho paura della morte, bensì del dolore fisico. Vi chiedo d’essermi vicino”.
“Vi chiedo d’essermi vicino”, ossia vi chiedo di amarmi, di essermi amici, di scegliermi, ora che ho bisogno di tutto e di tutti. Caro don Sandro, il Paradiso è proprio questa comunione che è “amore”, “amicizia” e “scelta” in cui Dio, in Gesù, si manifesta in noi e tra di noi per l’eternità.
Cari amici, care amiche, desidero concludere con l’ultimo versetto del nostro odierno Vangelo: ”…perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (Gv 15,16).
Ognuno di noi, nel silenzio della preghiera si rivolga a Dio, Padre di misericordia, portando il suo ricordo grato di don Sandro, delle sue doti (non poche), del bene che ha fatto in questa vita e anche delle sue fragilità.