S. Messa per i funerali di don Emilio Dall’Armi
(Oriago / Chiesa parrocchiale S. Pietro in Bosco, 3 ottobre 2024)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Cari fedeli, cari fratelli e sorelle,
in silenzio, quasi in punta di piedi, don Emilio ci ha lasciati nelle prime ore del primo giorno d’ottobre, quando la Chiesa fa la memoria di santa Teresina di Lisieux. Se ne è andato, insomma, con la discrezione che gli era propria.
Don Emilio era nato proprio qui ad Oriago ed aveva festeggiato recentemente i suoi 61 anni di sacerdozio.
Ho trovato in archivio una sua breve lettera, scritta il 14 marzo 2011 e indirizzata all’allora patriarca Angelo Scola: “Eminenza Reverendissima, ieri 13 marzo ho compiuto 75 anni. Rimetto nelle sue mani la nomina a parroco di S. Pietro-Oriago e ringrazio il Signore per il dono del sacerdozio e di ogni altro favore. Finché la salute mi sostiene, sono a sua disposizione per il bene della Chiesa Veneziana. Con animo sereno porgo distinti e cordiali saluti don Emilio Dall’Armi. Oriago, 14 marzo 2011”.
Ho voluto citare questo suo scritto perché queste parole essenziali ne rappresentano bene l’anima. Don Emilio era di poche parole e lo fu anche in tale circostanza significativa – e anche un po’ traumatica – nella vita di un presbitero; poche parole, quelle necessarie, a cui rimase fedele sino alla fine.
Dopo il dono di una vita lunga, silenziosa, discreta, a servizio delle comunità ecclesiali presso le quali – di volta in volta – era mandato, il Signore l’ha chiamato a sé.
In questi ultimi anni, a causa dell’età, le sue condizioni fisiche si erano indebolite fino all’ultimo ricovero di pochi giorni fa. A tale proposito desidero ringraziare quanti lo hanno accudito: i familiari, i confratelli e, in particolare, don Cristiano Bobbo.
Don Emilio fu un prete e un parroco zelante, esercitando fedelmente il ministero; per oltre 61 anni ha fatto parte del presbiterio diocesano; fu ordinato il 30 giugno 1963 per la preghiera e l’imposizione delle mani del patriarca Giovanni Urbani.
Sacerdote dall’animo limpido, lo ricordo cortese sia nel tratto sia nella parola, lo sguardo era sereno e lo stile pacato esprimeva la finezza dell’anima e l’innato senso della pietà cristiana.
Don Emilio aveva vissuto da fanciullo nelle campagne di Ca’ Rubaldi e proveniva da una famiglia semplice e numerosa, legata alla terra e di grande fede, tanto che in essa fiorirà non solo la sua vocazione sacerdotale ma anche quella religiosa di due sorelle.
Aveva un’innata signorilità che si manifestava nello stile, anche in una parola costruttiva che mirava ad incoraggiare; seguiva con fedeltà i piani pastorali della Diocesi e ha voluto bene a tutti i suoi Patriarchi.
Credeva nella fraternità presbiterale, non a parole, e la praticava nei fatti e con assiduità, soprattutto partecipando agli incontri vicariali dove – mi dicono – era sempre presente, fino nell’ultimo incontro che si tenne appena un mese fa, ai primi di settembre.
La sua morte – in qualche modo preparata, come è richiesto ad ogni discepolo del Signore ma soprattutto ad un prete – è stata un addormentarsi nel Signore. Il libro dei Maccabei ci ricorda quanto è “magnifica” la “ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà” (2Mac 12,45).
Il morire è sempre, per il cristiano e in particolare per il prete, un addormentarsi nel Signore e don Emilio ha ricevuto la grazia di poter vivere una “bella morte”, la “bella morte” del cristiano.
Tale passo l’ha compiuto con vera pietà cristiana, ossia con un profondo sentimento filiale e l’ha preparato lungamente. Un confratello che gli è stato vicino, in particolare negli ultimi tempi e che ringrazio, mi ha riferito come, recentemente, gli avesse confidato che “…si sentiva pronto, perché aveva superato anche la paura di morire”.
Un antico compagno di seminario, poi, ricorda come già allora era una persona amante della preghiera, secondo lo stile imparato proprio in Seminario. Sì, la preghiera era entrata in lui in modo reale e concreto tanto da essere continuamente presente nella sua vita.
E qui noi vediamo, innanzitutto, la fedeltà ad un preciso impegno che il presbitero assume nel momento dell’ordinazione, quando espressamente gli viene posta la domanda circa la preghiera: ”Vuoi insieme (al tuo Vescovo) implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?” (dal Rito di ordinazione presbiterale).
Il testo della seconda lettera ai Corinzi appena proclamato (cfr. 2Cor 4,14-5,1) è stato scelto perché lo sguardo del discepolo del Signore – soprattutto quello del prete – deve sapersi posare, in modo tutto reale e quotidiano, non tanto sulle cose visibili ma su quelle invisibili, non sulle cose che durano un momento ma su quelle eterne. Anche questo fa parte della spiritualità: essere l’uomo di tutti perché realmente appartiene solo a Dio, pur volendo bene a tutti; ci sono snodi della vita diocesana in cui questo si evidenzia e appare in tutta chiarezza.
L’Apostolo Paolo, poi, scrive ancora: “…convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù… Per questo non ci scoraggiamo, ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno… noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2Cor 4,14.16.18).
Don Emilio ora vede, finalmente, Colui che è il fondamento e il senso delle cose visibili e di quelle invisibili. Perché la vita consiste, in modo particolare, proprio nel camminare con altri per un tratto di strada, lungo o breve che sia; noi non lo sappiamo, solo il Signore lo sa, perché è Dio – e non gli uomini – a disporre per ciascuno di noi il nascere, il morire, il vivere qui o là, secondo quello che è il nostro bene secondo il Suo giudizio.
Per don Emilio il percorso terreno è stato lungo e anche questo è un dono del Signore. Ma, dopo questa vita terrena, la nostra fede pasquale ci assicura che tutto si ricongiungerà con il gioioso ritrovarsi nel Signore, per sempre. Ancora una volta tocchiamo qui con mano che la rivelazione cristiana non è solo annuncio di verità ma anche di bellezza, consolazione e gioia.
Dopo la vita terrena – per usare ancora le parole dell’apostolo Paolo – e una volta disfatto il corpo mortale (la nostra casa terrena), saremo accolti da Dio e riceveremo da Lui un’abitazione eterna in cielo, non costruita da mani di uomo.
La pericope evangelica, tratta dal sesto capitolo del Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 6,51-58), ripropone la centralità dell’Eucaristia nella vita del discepolo del Signore e dell’intera comunità ecclesiale. Nella vita del prete, però, l’Eucaristia ha un’importanza unica, essendo proprio la presidenza dell’Eucaristia – il servizio di Dio e della comunità – il gesto che caratterizza in modo specifico il ministero del presbitero.
Al momento dell’ordinazione, infatti, ci viene chiesto se, nella comunione ecclesiale, insieme al Vescovo e al Papa, si vuole contribuire a costruire il Corpo di Cristo, ossia la Chiesa. Tale missione, durante il nostro cammino terreno, si realizza in pienezza nella celebrazione eucaristica.
Il pane eucaristico è il pegno della vita eterna; il cibo che dona la vita nel tempo e nell’eternità. L’Eucaristia è il pane spezzato per la vita di ogni uomo e che assume un valore decisivo soprattutto quando la vita appare irrimediabilmente spezzata. E tutto è vero per ogni uomo, nessuno escluso.
Con questa celebrazione eucaristica affidiamo al Signore Gesù – eterno e sommo Sacerdote – don Emilio che, con zelo, ha servito il popolo di Dio in particolare nella celebrazione della santissima Eucaristia, offrendo all’altare il sacrificio di Gesù presente in modo reale e vivente nell’unità e nella carità del Corpo mistico.
La nostra vicinanza è per coloro che hanno amato e amano don Emilio. Un pensiero particolare va alla sorella suor Pierina, ai familiari, ai nipoti e a quanti sono stati vicini a don Emilio soprattutto nell’ultimo periodo.
Mi rivolgo a tutti con la certezza della fede che sostiene la speranza: il Signore Gesù ha vinto la morte, è risorto! E, quindi, non cerchiamo più tra i morti Colui che è il Vivente!
Con questa convinzione, chiedendo l’intercessione materna della Madonna Nicopeia, affidiamo don Emilio alla misericordia del Padre che è nei cieli.
Sì, confidiamo prima di tutto nella misericordia infinita di Dio. E confidiamo nella misura “più grande” della Sua misericordia.