S. Messa in occasione delle ordinazioni diaconali
(Venezia / Basilica Cattedrale di S. Marco, 23 novembre 2024)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi Rafael, Leonardo, Davide, Gheorghe, Mattia,
le vostre storie – così diverse – oggi si incontrano perché, rispondendo personalmente alla vostra comune vocazione al diaconato, state per essere ordinati e così entrate nel primo grado del sacramento dell’ordine.
Nel momento dell’appello, come Maria, avete risposto: “Eccomi”. Rafael appartiene alla diocesi del Patriarcato di Venezia e viene ordinato in vista del presbiterato; fra Davide, fra Gheorghe e fra Mattia
sono ordinati in vista del presbiterato e fanno parte della Fraternità Cappuccina, di cui saluto i Ministri Provinciali qui presenti; infine Leonardo – col consenso di Teresa, sua sposa – viene ordinato diacono permanente per la Chiesa che è in Venezia.
Il grazie qui, oltre al Signore, va alle vostre famiglie e, in modo particolare, ai vostri genitori, al Seminario di Venezia e ai suoi superiori, all’Ordine dei Frati Cappuccini nelle tre Province interessate; per Leonardo il grazie va soprattutto a Teresa che ha acconsentito all’ordinazione; il grazie, infine, va a tutti coloro di cui il Signore si è servito per portare a compimento in voi l’opera da Lui iniziata.
La riflessione che segue ha una cornice: è il Vangelo che è stato appena proclamato (Gv 18,33-37). Lì c’è tutto il servizio di Cristo, c’è la diaconia di Cristo, che avviene nella verità e nel dono di sé; non c’è altra misura, non c’è altro criterio, nel servizio cristiano.
Carissimi, la giornata odierna segna per sempre la vostra vita poiché con l’ordinazione, per mandato della Chiesa, entrate in modo sacramentale nel ministero apostolico.
Non appartenete più a voi stessi. Non nel senso in cui tale affermazione era già valida per voi a motivo del battesimo, ma perché diventando ministri della Chiesa dovrete tenere presente la dimensione pubblica della vostra persona e questo riguarda ogni vostro gesto e ogni vostra parola.
C’è, insomma, anche un modo di vivere i propri stati d’animo che dice idoneità o – Dio non voglia – inidoneità al ministero che eserciterete per mandato della Chiesa in comunione col vescovo e, per voi religiosi, anche col vostro legittimo superiore. Essere diaconi ed esercitare il ministero significa essere segni di Gesù e, quindi, sapere andare oltre se stessi, oltre i propri gusti e stati d’animo.
Così diventa chiaro ciò che l’apostolo Paolo rivolge ai ministri ordinati servendosi di queste parole: “…i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio” (1Tm 3,8-10). Il trascorrere del tempo muta le situazioni e può far crescere o decrescere la fedeltà alle richieste dell’apostolo Paolo che, comunque, costituiscono un riferimento imprescindibile.
Carissimi, tutto quello che farete, direte o esprimerete, il vostro linguaggio, il vostro stile, il vostro modo di dialogare e ragionare, di vivere le vostre emotività di fronte alle situazioni favorevoli o sfavorevoli, tutto dovrà mostrare che siete ministri ordinati e, quindi, segni di Cristo, nella Chiesa, a servizio della comunità e del mondo. Da voi il Signore e la Chiesa – a ragione – si attendono uno stile che non disattenda od offenda quello che avete chiesto e promesso d’essere il giorno dell’ordinazione.
Diacono vuol dire servitore e, perciò, vuol dire carità, vuol dire altare, cioè Eucaristia, vuol dire annuncio della Parola di Dio di cui prima dovete essere fedeli uditori.
In più, per fra Davide, fra Gheorghe e fra Mattia tutto ciò deve inserirsi nello stile francescano del pax et bonum (pace e bene) che chiede d’essere quotidianamente vissuto – secondo la grande e tradizione francescana – in modo vero, per non decadere a slogan e risuonare stucchevole.
Per voi che ricevete il diaconato nella forma transeunte (ossia in vista del presbiterato) esercitare il ministero diaconale sarà un modo per completare la vostra formazione e prepararvi a ricevere il secondo grado del ministero dell’ordine – il presbiterato – che si qualifica per la modalità sacerdotale.
Per te, caro Leonardo, l’ordinazione vuol dire entrare in un nuovo stato di vita di cui la Chiesa viene arricchita se tale vocazione viene vissuta secondo la sua specificità. Solo il diacono che cresce nella spiritualità del sacramento è dono reale per la Chiesa.
Il diaconato, anche se conferito in vista del presbiterato, introduce in una realtà che si caratterizza perché abilita alla carità-diaconia legandola alla celebrazione liturgica – in primis all’Eucaristia – e, insieme, all’annuncio della Parola e alla dedizione nei confronti dei poveri.
Guardate, perciò, alle vecchie e alle nuove povertà. E ricordate che oggi più di ieri – in una società che, in gran parte, ha smarrito il radicamento nei valori umani (ragione, giustizia, solidarietà) e cristiani (fede, speranza e carità) – dovrete occuparvi non solo delle povertà materiali ma anche di quelle spirituali e culturali di quanti incontrerete e ai quali sarete mandati. Siatene consapevoli sempre.
Attraverso il ministero diaconale siete chiamati ad annunciare alla comunità – con le vostre stesse persone – la centralità “istituzionale” della “carità-diaconia” nella Chiesa. Dovrete essere segno sacramentale ed istituzionale (non solo spirituale ed ascetico) della carità-diaconia di Cristo in mezzo al popolo di Dio. Non bisogna, quindi, solo vivere la spiritualità della carità, ma attestare che la carità appartiene all’istituzione Chiesa. E ricordiamo poi che non si dà carità senza verità e viceversa.
La puntualizzazione “istituzionale” dice, in modo esplicito, che il diaconato appartiene al ministero ordinato e che la diaconia – o servizio – nella Chiesa si pone su un piano di stabilità oggettiva radicata nello stesso sacramento dell’ordine.
Carissimi, esercitando il ministero all’altare siete chiamati a dire – nel modo più eloquente – che la carità e il servizio, nella Chiesa, nascono dall’altare, dall’annuncio della Parola, ossia dal Signore Gesù, dalla cristologia che si vive concretamente nell’Eucaristia celebrata ed adorata.
Offrendo, inoltre, con fedeltà il vostro servizio (voi stessi!) ai poveri, e a loro favore, sarete esplicita testimonianza del primato che la carità-diaconia deve avere nell’Evangelo cristiano. E infine – per usare le parole degli Atti degli Apostoli (cfr. At 6,2) quando si parla di coloro che sono denominati “diaconi” – servendo alle mense voi, attraverso il ministero diaconale, attesterete che l’uomo ha necessità sì del pane quotidiano ma, nello stesso tempo, non vive di solo pane (cfr Mt 4,4).
Carissimi, nel momento in cui state per essere ordinati, vi chiedo di soffermarvi sulla pagina del Vangelo di Luca che ci conduce nel villaggio di Betania (cfr. Lc 10,38-42). Marta e Maria sono le protagoniste; esse si pongono innanzi a Gesù in modi differenti. Maria è tutta presa dall’ascolto del Signore ed è assorta in Lui; Marta, invece, è affaccendata a tal punto nei servizi di casa che Gesù la definirà affannata e agitata (cfr. Lc 10,41).
Sì, soprattutto nei momenti di affaticamento e di lavoro gravoso, abbiate presente la risposta di Gesù alla pretesa di Marta che voleva che il Maestro redarguisse la sorella. La risposta di Gesù conserva il suo valore, in ogni tempo, presso ogni discepolo e qualsiasi vocazione: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 41-42).
Soprattutto quando si è costituiti nel ministero ordinato – in qualsiasi grado – si abbia consapevolezza della precedenza della grazia, ossia del Signore Gesù, su qualsiasi altra realtà; solo la grazia di Dio, infatti, ha il potere di salvarci e salvare.
Gesù, nel Vangelo di Giovanni, si rivolge ai discepoli con parole eloquenti: “…senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5). La prima consapevolezza che deve animare un ministro ordinato del Signore, che voglia essere in sintonia con la sua missione, è la consapevolezza d’avere ricevuto un potere che, in alcun modo, si è dato da solo ma che gli è stato donato e che è chiamato ad esercitare in favore della Chiesa, per il bene della Chiesa e poiché mandato dalla Chiesa. Un ministro ordinato che abbia infranto la comunione col Papa, col Vescovo, con la Chiesa è una contraddizione in termini.
Queste parole di Gesù riportate dal Vangelo di Giovanni – “…senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5) – si legano alle altre: “In verità, in verità vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo” (Gv 5,19).
Il ministero ordinato è espressione della grazia divina; è fondato su di essa, cioè su Gesù Cristo e, senza di Lui, non si può fare nulla. È proprio il legame col Figlio che fa in modo che tutto diventi possibile, anche quello che in sé l’uomo non ha la forza di compiere. Il legame con Lui conduce, in ultima istanza, a Colui che è il principio di tale grazia e l’origine della stessa figliolanza, ossia il Padre.
Il sacramento abilita a quello che noi non abbiamo la forza di compiere a partire dalle nostre forze umane e, quindi, pone il ministro ordinato al di là di sé, costituendolo dono per gli altri.
Così da oggi, in modo nuovo, iniziate a servire la Chiesa e il mondo con la capacità di donare qualcosa che non è vostro ma che chiama in causa le vostre persone; questo è il sacramento, un servizio offerto attraverso voi ma che non appartiene sorgivamente a voi e in alcun modo è vostro.
Da oggi, in modo consapevole, vivrete anche nei confronti del sacramento dell’ordine (diaconato) – e non più solo del battesimo/confermazione e (per Leonardo) del matrimonio – il primato della grazia nella vostra vita. È proprio questa dimensione sacramentale che dovrà essere vissuta da voi come ministri ordinati.
Sappiate trarre da tale realtà sacramentale la spiritualità per il vostro ministero di ogni giorno: la preghiera e in modo particolare l’Eucaristia vengano prima dell’azione, anche di quella pastoralmente più urgente, perché sempre la devono sostenere e purificare per essere rispondenti alle richieste dell’apostolo Paolo sopra menzionate.
Solamente chi prega vede bene e ama secondo verità nei momenti decisivi in cui è richiesta maggiore intraprendenza, saggezza, discernimento. Solo chi prega è in grado di rimanere umile, sereno e gioioso. E qui dobbiamo sottolineare che la virtù della fortezza non è mancanza d’umiltà e che l’umiltà è altra cosa da colui che non osa decidere, temendo le responsabilità di cui ognuno si deve far carico per essere membro vivo e fedele della Chiesa, il Corpo di Cristo.
La preghiera – è la grande consegna – non deve venire meno o intiepidirsi, perché dona la vera forza purificatrice. La preghiera, inoltre, consola e fortifica l’anima quando questa è provata dalle fatiche.
Il ministero o servizio che si compie ogni giorno, nella vigna del Signore, dà un’immensa gioia tanto da non immaginare la propria vita al di fuori del ministero ecclesiale. Tale opera nella vigna del Signore – che è, essenzialmente, la Chiesa – domanda un impegno diuturno, disinteressato e al di fuori dei calcoli umani.
Ecco perché è importante rettificare i propri progetti, stemperare i propri stati d’animo, accogliere tutti non sottacendo la bellezza esigente del Vangelo perché, altrimenti, cadiamo nel tradimento del Vangelo. Ma tutto questo, lo ripeto, può avvenire solo attraverso la preghiera e nella preghiera, che non risponde a un bisogno psicologico di silenzio o di esplorazione del proprio io ma, nel senso più vero, è incontro con Dio attraverso il Signore Gesù.
Carissimi, la Madonna della Salute guidi sempre il vostro ministero e lo renda servizio di amore nella verità.
Al termine della celebrazione, il Patriarca si è rivolto così ai nuovi diaconi:
Cari diaconi, l’augurio che possiamo farvi è di vivere bene il vostro diaconato, ricordando che la questione fondamentale del ministero non riguarda una spartizione di potere ma è espropriazione del proprio “io” affinché l’ “io” di Cristo si impossessi dei nostri gesti.
Il diaconato fatica a decollare dal punto di vista teologico anche perché, forse, mancano delle figure di diaconi di riferimento. L’episcopato e il presbiterato sono cresciuti anche guardando a grandi vescovi (i Padri della Chiesa e i vescovi della Riforma, ad esempio) e grandi sacerdoti (dal santo Curato d’Ars a tanti preti attuali, magari sconosciuti ai più ma molto significativi per le loro comunità).
Il diaconato, per crescere teologicamente, ha bisogno anche di avere ministri che esprimono la bellezza del dono ricevuto. Questo è il mio augurio di oggi ed è, soprattutto, l’augurio che rivolgo alla gente e alle comunità a cui sarete mandati.