Omelia del Patriarca nella S. Messa ai funerali di don Paolo Socal (Venezia / Chiesa parrocchiale dei Carmini, 7 novembre 2024)
07-11-2024

S. Messa ai funerali di don Paolo Socal

(Venezia / Chiesa parrocchiale dei Carmini, 7 novembre 2024)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari confratelli, diaconi, persone consacrate e cari fedeli,

siamo davanti all’altare del Signore per affidare alla Sua misericordia il carissimo don Paolo che – per usare il linguaggio della lettera paolina a Timoteo – ha lasciato questa vita versandola come offerta, ha combattuto la buona battaglia, terminato la corsa e conservato la fede (cfr 2Tm 4,6-7), soprattutto in questi ultimi tempi quando la fragilità prendeva il sopravvento sull’entusiasmo, sulla forza e sulla determinazione che lo hanno sempre caratterizzato.

Rivolgiamo a don Paolo l’ultimo saluto terreno nella chiesa a lui particolarmente cara dei Carmini, zona di cui era originario, e in cui aveva ricevuto il sacramento del Battesimo sul quale poi si è innestato in modo fecondo, 57 anni fa, il sacramento dell’Ordine nel grado del presbiterato.

Il Vangelo, scelto da voi, che è stato appena proclamato (cfr. Mc 12,28-34) è lo stesso di domenica scorsa, momento in cui Signore ha chiamato a sé don Paolo durante la notte. Abbiamo perciò ascoltato Gesù che, rispondendo alla sollecitazione di uno scriba, fissa con chiarezza la rilevanza assoluta dei due comandamenti dell’amore che si richiamano continuamente l’un l’altro: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi” (cfr. Mc 12,29-31). Due comandamenti che, insieme, compongono l’unico grande comandamento dell’amore, reso possibile da una condizione previa: l’ascolto (“Ascolta, Israele”).

È stato certamente questo il programma e il percorso di vita che don Paolo ha seguito e portato avanti con il suo stile – con semplicità, intensità, entusiasmo e sorriso – laddove è stato chiamato ad operare, a servizio delle comunità di varie zone della Diocesi che lo hanno avuto come parroco e guida spirituale.

Don Paolo è stato un uomo buono, profondamente umano, “sapeva ascoltare” mi è stato detto da un confratello che l’ha conosciuto bene; la sua attenzione nell’ascolto era rivolta certamente alla parola di Dio come luce per il cammino suo e delle comunità di cui è stato, di volta in volta, pastore ma si traduceva anche in segno di vicinanza e simpatia verso tanti fratelli e sorelle, più o meno credenti, per cui aveva sempre una parola e un sorriso. Uomo buono e intelligente, sapeva trasmettere e porgere con chiarezza la Parola ascoltata e seguire il magistero della Chiesa.

Lo hanno sempre accompagnato con gioia le sue grandi passioni umane – la montagna, il ciclismo, la voga alla veneta – ed è bello pensare che anche negli ultimi tempi, per lui i più faticosi a causa della malattia incombente, abbia saputo ancora trovare – come l’estate scorsa al Grest nelle parrocchie di Dorsoduro – la forza e la volontà per stare con i bambini e i ragazzi per insegnare loro a vogare.

La Parola e l’Eucaristia, caratteristiche essenziali e necessarie per ogni prete, hanno segnato la persona di don Paolo che ha dedicato con fede la sua vita al Signore, anche – lo ripeto – nel tempo ultimo e difficile della malattia e della fragilità più accentuata. Ricordo il nostro ultimo incontro, quando abbiamo pregato insieme e gli ho amministrato i sacramenti.

Desidero, a questo proposito, rivolgere un grazie al diacono Giuseppe Baldan che lo ha seguito con cura ed anche a don Massimiliano che, da poco giunto qui come parroco, ha assistito costantemente don Paolo aiutandolo anche a celebrare la santa Messa alcuni giorni fa mentre era ricoverato. Con loro ringrazio gli altri confratelli, gli amici e i familiari che gli sono stati vicini nei modi più diversi.

Don Paolo ora vede il Dio della misericordia e della verità, il Dio dell’amore e l’unico Signore. E solo chi è alla presenza di Dio può capire fino in fondo come la misericordia non sia una sorta di via di mezzo tra giustizia e bontà degli uomini. La Divina Misericordia è tutt’altro e, coincide, piuttosto, con lo stesso Dio che si manifesta là dove l’uomo esprime tutta la sua fragilità, il suo timore, la sua impotenza. E, quindi, il momento della morte è il momento in cui si svela pienamente il Dio che è Misericordia, che è grazia, conversione, riconciliazione, perdono e gioia nella santità.

È bello che si siano persone che, nel gesto ultimo del morire, fanno una sorta di catechesi a chi partecipa al loro travaglio e alla loro sofferenze. E ci sono stati alcuni sacerdoti – non faccio nomi – che sono stati maestri nel vivere le ultime settimane e gli ultimi giorni della loro vita. La morte non si improvvisa; è il risultato di un cammino, di una vita, dell’amicizia che abbiamo con il Signore.

Come per il beato apostolo Paolo, così anche per il nostro caro don Paolo si compiono le parole proclamate nella seconda lettera indirizzata a Timoteo: “Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà…; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2Tm 4,8).

Mi convinco ogni giorno di più – accompagnando tanti confratelli nell’ultimo passaggio – che un sacerdote non va mai da solo in Paradiso, ma è sempre “coronato” da una moltitudine di fratelli e di sorelle che, o già nell’eternità o ancora in questa vita terrena, lodano e ringraziano Dio per i tanti doni ricevuti ma in particolare per il dono del sacerdote che Dio ha fatto loro incontrare e questa è, di nuovo, un’espressione grande della Divina Misericordia che si riflette nella Chiesa e nel mondo.

Esprimo ai familiari, al fratello Marco, alla nipote Giovanna e a tutte le persone e comunità parrocchiali che hanno conosciuto ed amato don Paolo la vicinanza e le cristiane condoglianze mie e dell’intera Chiesa che è in Venezia.