Assemblea del Vicariato di Mestre
(Mestre / Istituto Salesiano S. Marco, 12 ottobre 2024)
Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia[1]
Cari parroci, sacerdoti, diaconi, persone consacrate, fedeli laici,
vi saluto tutti dopo aver avuto l’opportunità, in precedenza, di salutare direttamente già alcuni di Voi.
Il mio intervento consta di due parti: nella prima fissiamo lo sguardo sulla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, ossia l’episodio evangelico dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). Non intendo farne l’esegesi, ma sottolineare solo alcuni punti che possano aiutarci – in modo personale e comunitario – sulle questioni condivise, con stile sinodale, nei differenti “tavoli” e riconsegnate poco fa in assemblea.
Questa pericope del Vangelo di Luca ci parla di due persone, non di una persona sola e non di tutta la comunità; sono due persone che stanno parlando fra di loro e rappresentano una Chiesa in difficoltà, si interrogano su quanto è successo, quale ne sia il senso e quale possa essere il loro futuro di discepoli.
Quando Gesù si avvicina a loro e li interroga, subito gli dicono: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?” (Lc 24,20). Secondo loro Lui non sa, mentre loro sanno e rimproverano quel misterioso pellegrino che non sa. Ed invece l’altro – ossia Gesù – è proprio Lui la risposta al loro problema.
Tutto questo ci fa capire che la pastorale non è fatta, in primis, di indicazioni o progetti, ma dal saper stare nel crogiolo delle scelte, nel convertire il proprio modo di pensare e di agire. “Solo tu non sai quello che è successo”; i due di Emmaus gli stanno spiegando, sbagliando, cosa è accaduto e lo spiegano a Colui che è la soluzione del loro problema.
Noi non siamo coloro che portano Cristo, ma siamo coloro che sono portati da Lui e, quindi, solo dopo, possiamo diventare portatori di Cristo.
Ancora un particolare: i due discepoli dopo il colloquio con Gesù ritornano, ma dove? Il Vangelo ci dice una cosa importante: non vanno ad annunciare (adesso abbiamo capito, prima sbagliavamo, ora ti abbiamo incontrato…), ma si recano là dove è la Chiesa (gli apostoli e Maria); sì, ritornano alla Chiesa. Ecco la dimensione ecclesiale dell’apostolato: gli Undici e gli altri con Maria.
Notiamo, infine, un altro particolare del racconto dei due discepoli: spiegano che alcune donne sono andate al sepolcro – loro, quindi, non ci sono andati! – e riferiscono quanto è stato detto loro. Essere discepoli vuol dire essere testimoni e non parlare per sentito dire!
Talvolta si riduce la conversione alla dimensione morale e, forse, per questo la conversione risulta inefficace – sia a livello personale sia comunitario -, proprio perché la consideriamo solo come realtà morale; la conversione, invece, prima di tutto è un fatto di grazia, e quindi spirituale, e poi diventa intellettuale e, infine, pastorale.
Da una parte viene chiesto: dite concretamente cosa si deve fare. Dall’altra ci si limita a parlare e ad incontrarsi. Sono le due discriminanti tra le quali ci muoviamo spesso. Ma, intanto, ringrazio tutti coloro che – in modi diversi – si sono messi in gioco con senso ecclesiale e abbandonando la logica del “campanile”.
Ritengo sia sempre più necessario rapportarsi reciprocamente come comunità che, un domani, vivranno un’unità sempre maggiore. Con quali tempi? Nessuno conosce nei dettagli il futuro; si danno, infatti, situazioni diverse. Certo, non dobbiamo correre dietro ai numeri, né per avere un uditorio più vasto, né per canonizzare la piccola comunità in quanto tale; se lo siamo dobbiamo sapere che essenziale è essere comunità cristianamente significative, perché si può anche essere piccole comunità ma, appunto, significative e che hanno un peso specifico e sono capaci di incidere secondo la logica e i valori del Vangelo (il mondo lo hanno cambiato le piccole comunità significative!).
L’indicazione del Vangelo è chiara: al di là del numero dodici, che è simbolico, sono pochi i discepoli che Gesù ha scelto rispetto alle folle che lo seguivano. Non è la maggioranza che cambia il mondo, sono le piccole comunità significative. E io chiedo di investire proprio su questo: cercare d’essere comunità significative anche se piccole, perché essere piccole comunità non è un problema, lo è essere comunità insignificanti.
Bisognerebbe, allora, in un contesto di secolarizzazione, cercare di puntare su una evangelizzazione che sia testimonianza, avendo più cura di investire sulla cultura orientata ai valori del Vangelo.
Credo, ad esempio, che nessuno parrocchia possa considerarsi soddisfatta circa la catechesi degli adulti, per quanto riguarda la regolarità degli incontri e il numero dei partecipanti. Credo, invece, che non solo in Diocesi, ma anche nel resto dell’Italia, a differenza di altri Paesi europei, si possa riscontrare ancora una certa tenuta a proposito della catechesi dei bambini e degli adolescenti (anche se vi sono alcuni segnali che sono motivo di preoccupazione!), almeno fino al momento della cresima; poi, però, dobbiamo chiederci perché li perdiamo subito dopo.
Viviamo in un tempo che può essere favorevole, perché le differenti ideologie che si sono affermate nel secolo scorso sembrano essere giunte al capolinea, mostrando il loro corto respiro, mentre la Chiesa ha nell’antropologia biblica una risorsa importante se è presentata in grado di intercettare i problemi degli uomini e delle donne di oggi.
Mi permetto di indicare per la catechesi degli adulti la proposta di tre o quattro incontri durante l’anno, programmati per tempo e in accordo tra le comunità della collaborazione, individuando temi significativi e che esprimano bene la fede, la spiritualità e la dottrina sociale cristiana proprio nel contesto del nostro tempo e della nostra città. Non mancano, a tal proposito, presbiteri o laici capaci e competenti.
Si tratta di preparare bene questi incontri e di convergere in modo unitario, una volta presso la chiesa o il patronato di una collaborazione, un’altra volta in un’altra chiesa o patronato. Certo, comprendo la preoccupazione dei parroci che dicono: sì, stiamo camminando, siamo chiamati ad essere traghettatori da una realtà pastorale che non c’è più ad un’altra che non c’è ancora; sì, è vero, abbiamo lasciato una sponda e non abbiamo ancora raggiunto l’altra e siamo in mezzo al guado; prima di noi c’era chi pastoralmente viveva una situazione sicura di maggiore stabilità, ma ora le cose non stanno più così e chi verrà dopo di noi si troverà dinanzi ad uno scenario ancora diverso anche se, forse, più delineato dell’attuale.
Noi, invece, siamo nel tratto di cammino – per certi versi – più arduo. Non è stata una nostra scelta; è qualcosa che dobbiamo accettare, fare nostra e, se possibile, “amare” con coraggio e serenità. Essere preti e laici cristiani oggi vuol dire anche avere questa fiducia, questa fortezza spirituale ed intellettuale.
Alcune tematiche pastorali si sono evidenziate più volte dalla condivisione dei “tavoli”; individuiamo, allora, le pastorali che sappiamo essere in difficoltà a livello parrocchiale.
Interroghiamoci a proposito della condivisione e della progettazione degli eventi e dei momenti pastorali a livello di collaborazione, perché come è stato detto, non è giusto che si elabori un progetto personale e poi si invii un foglietto d’avviso dicendo: il tale giorno alla tale ora c’è questo incontro, un altro giorno quest’altro e così via…
Ancora: le collaborazioni – e qui alludo ai Cenacoli (cuore della vita ecclesiale, dove si integrano le diverse vocazioni) e ai Consigli Pastorali (momento essenziale, ma più operativo) – possono individuare alcune (tre o quattro) tematiche di catechesi per adulti e in particolare per il dopo-cresima. Ci sono dei temi che, comunque sia, sono interessanti, interpellano e possono essere trattati con maggiore competenza unendo le forze al di là della dimensione parrocchiale.
Individuate – nel contesto di un vicariato di grandi dimensioni per numero di abitanti e per collaborazioni come il vostro – alcune pastorali che possono essere messe insieme con profitto ed altre, invece, che possono rimanere a livello di realtà parrocchiale. Ribadisco: ve ne sono alcune che possono essere fatte insieme e, proprio per “fedeltà disinteressata” al proprio ministero di catechista, operatore della carità, della liturgia ecc., diacono, parroco, vice parroco e aiuto pastorale, si avrà il coraggio di proporle in collaborazione.
Per i ragazzi dai 14 ai 18 anni dobbiamo pensare un progetto di catechesi che risponda alle loro esigenze e che, probabilmente, in parrocchia non si ha più la forza di fare ma che, invece, a livello di collaborazione (per i numeri dei ragazzi e le risorse degli educatori), potrebbero avere miglior riuscita. Accentrare solo per paura di perdere i propri ragazzi può essere un grave errore.
Forse, se è il caso, bisogna proporre meno incontri ma di qualità migliore e valorizzare di più alcune “uscite” fuori parrocchia, preparate a lungo durante l’anno e coinvolgendo tutti: ragazzi, genitori, educatori; siano, quindi, proposte uscite più volte l’anno nel vostro e in altri vicariati e a livello diocesano.
Celebrare l’Eucaristia ogni giorno è un valore in sé e dobbiamo fare il possibile perché ciò sia un punto condiviso nelle nostre comunità; però si potrebbe pensare che, al di là della celebrazione eucaristica quotidiana, in una parrocchia, un giorno alla settimana non vengano celebrati i funerali perché i parroci (soli) possano avere dei momenti liberi per ricreare lo spirito e il fisico e per partecipare agli incontri del presbiterio (ordinariamente il giovedì); incontrarci come preti fa bene soprattutto a chi sembra non avvertirne la necessità.
Stiamo andando verso un tempo in cui sempre più parrocchie non avranno il sacerdote residente. Non dobbiamo, certamente, correre dietro ai numeri – come già detto – ma dobbiamo essere realisti; un prete che lavora tutta la settimana ha bisogno di una giornata per rigenerarsi, per incontrare i confratelli, per pregare di più.
Entriamo in questa logica che ci permette d’essere più rispondenti alla nuova realtà pastorale che ci sta dinanzi.
È poi possibile tra le varie collaborazioni programmare, nell’anno, una giornata da vivere insieme? Una domenica insieme, convergendo – di anno in anno – in un luogo o in un altro. In tali giornate trascorse insieme, oltre alla celebrazione dell’Eucaristia, si possono individuare idee per condividere la vita di una comunità e così crescere, educarsi a stare insieme, creare e costruire insieme, passo dopo passo. È possibile tutto questo?
Abbiamo oggi bisogno di un soggetto ecclesiale che vada oltre il presbitero (il chierico). Abbiamo, quindi, bisogno di rilanciare il Consiglio Pastorale e, a questo punto, chiedo: aprirci ad un Consiglio Pastorale di collaborazione può aiutare? Può far superare le situazioni, anche comprensibili, di difficoltà nel gestire la pastorale in genere e alcune pastorali specifiche insieme? Questo anche tenendo conto delle caratteristiche, in parte differenti, di una collaborazione pastorale di più parrocchie con la presenza di più parroci rispetto a quella retta da un unico parroco. Il Cenacolo – come si è detto più volte – è qualcosa di più del Consiglio Pastorale; è una comunità fondata su differenti vocazioni che esprimono, in modo sinodale, il soggetto ecclesiale nella sua pienezza in un determinato territorio.
Il criterio che fraternamente mi permetto di ribadire è che laddove – in spirito di fedeltà, con animo disinteressato, al proprio servizio di parroco, diacono, catechista, laico ecc. – constato che una pastorale si fatica a portarla avanti da soli e che insieme potrebbe dare più frutto, allora, senza timore, mettiamoci insieme. Facciamo lo stesso per andare in aiuto ad altri senza, di fatto, “annettere” la realtà più piccola; questo è anche un modo di vivere il presbiterato con gli altri presbiteri.
Non sono qui a dirvi come e dove, anche se alcune idee sono già emerse dai singoli “tavoli” di confronto; penso alla pastorale della famiglia, a situazioni specifiche riguardanti la catechesi (formazione comune dei catechisti ecc.), la carità, gli spazi pastorali comuni da valorizzare sul territorio ed altre scelte nelle vostre realtà.
Lo ripeto: mettere a calendario ogni anno almeno una domenica insieme – a partire da una celebrazione insieme, il tutto preparato per tempo e in modo gioioso – può essere una sorta di trampolino per costruire una comunità più ampia rispetto all’attuale.
Come già detto, non si deve correre dietro ai numeri ma i numeri non possono essere del tutto ignorati. In diocesi dal 2012 sono stati ordinati 24 preti mentre 55 sono quelli deceduti. Questo vuol dire 31 sacerdoti in meno (alcuni sono venuti meno in età ancora “giovane”). È pur vero che un novello curato d’Ars risolverebbe (per dire!) tutti i problemi della Diocesi… I numeri, comunque, hanno la loro importanza.
Concludo con un’immagine: quando si è alla guida di un’auto non interessa sapere che cosa c’è 50 centimetri davanti alle ruote, come non interessa sapere che cosa c’è a 10 km di distanza; piuttosto, in base alla velocità, bisogna sapere cosa c’è a 50, 100, 200 metri. Importante è sapere che stiamo andando verso una direzione e la direzione è abbastanza chiara, perché i segni che ci accompagnano sono evidenti e univoci.
Affidiamoci, con piena fiducia, alla guida di Maria di Nazareth, prima evangelizzatrice, e poniamoci in gioco con coraggio, considerando anche le tempistiche, per avere uno sguardo realista sul presente con un occhio attento alle diversità, perché in uno stesso vicariato e in una collaborazione pastorale possono esserci (lo ricordo bene quando ero viceparroco) zone socialmente e culturalmente anche molto differenti. Se rincorriamo il particolare fine a se stesso si giunge alla frammentazione; nello stesso tempo, c’è anche una certa omogeneità garantita, anche se non in toto, dall’abitare nello stesso territorio.
Vi chiedo, infine, di dar seguito a quanto richiesto nelle lettere indirizzate alle parrocchie e collaborazioni parrocchiali, in occasione della Visita pastorale, soprattutto per quanto riguarda gli accorpamenti indicati.
Vi ringrazio per questa mattinata che è stata non solo utile ma importante; un ringraziamento particolare lo rivolgo al Vicario episcopale per la pastorale don Daniele Memo a cui affido quanto si sta maturando nel Vicariato di Mestre; un ringraziamento va anche al Vicario foraneo don Natalino Bonazza.
Oggi avrei dovuto partecipare a Zelarino, con alcuni vescovi del Triveneto, ad un convegno regionale ma ho ritenuto importante partecipare a questo incontro del vostro Vicariato (nel pomeriggio mi recherò al convegno) per dirvi che il Patriarca non si tira indietro e, con voi – presbiteri, persone consacrate e laici – s’impegna ad interpretare la nuova situazione e vuole, con tutti voi, condividere questa fatica con gioia e coraggio.
Confrontandomi con vescovi di altre regioni – un vescovo della Campania l’altro giorno e quest’estate in Sicilia invitato dal presidente dei vescovi siciliani per una celebrazione – mi rendo conto che, pur essendo molto diverse le situazioni pastorali nel Nord e nel Sud del paese (la secolarizzazione è molto più forte al Centro Nord), anche al Sud ora si parla sempre più di collaborazioni e unità pastorali.
È un impegno per tutti interpretare, incoraggiare e muovere i primi passi che, però, vanno compiuti in modo deciso. Sono grato quando, nella Visita pastorale, vedo che insieme si cerca di affrontare questa realtà così urgente e complessa.
Carissimi, incoraggiamoci a vicenda a partire da una progettualità che cerchiamo sempre più di affinare. Qualcosa abbiamo cercato di condividere anche in questa assemblea, ora ci attende un lavoro di sintesi e qualche idea. Dopo i primi passi è possibile farne altri e così potremo dire che iniziare a camminare insieme è bello.
Tutto, però, deve sempre nascere dalla nostra conversione personale, guardando all’Unico Necessario e alla Sua grazia senza la quale, nella Chiesa, nulla si costruisce.
[1]N.B. Il testo è stato integrato e sfoltito in taluni punti per esprimere al meglio il pensiero; nel contempo si è voluto anche mantenere la forma originaria del parlato.