
Festa della Madonna della Salute
(Venezia, 21 novembre 2024)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Stimate autorità, confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici, viviamo oggi quella che, per noi veneziani, è l’attesa festa della Madonna della Salute. Un saluto particolare rivolgo all’Arcieparca di Costantinopoli, oggi presente con noi.
La Chiesa latina celebra in questo giorno la memoria della presentazione al tempio della Beata Vergine Maria; la nostra festa veneziana si inserisce e ci proietta, quindi, in un’antica tradizione ecclesiale legata al giorno in cui, nell’anno 543, si dedicò la basilica di Santa Maria Nuova in Gerusalemme voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano I; quell’edificio oggi non è più esistente, ma cosa “esiste” della Terra Santa, oggi, in questo periodo di guerra?
Le origini della festa si rifanno – secondo il protovangelo di Giacomo (uno dei vangeli apocrifi) – alla tradizione che dice come i genitori Anna e Gioacchino abbiano “presentato” ai sacerdoti del tempio la piccola Maria che così fu dedicata totalmente a Dio e al Suo servizio. Questo fatto apre una luce sulla scelta verginale di Maria e spiega, quindi, la domanda che Ella stessa rivolse all’angelo nel momento dell’Annunciazione (altra data simbolica per Venezia): “Come avverrà questo?” (Lc 1,34). Ossia: come è possibile che io diventi madre?
Si spiega così la logica di questa domanda; Maria aveva già fatto una scelta, quella di appartenere a Dio dedicando la vita al Signore. Il Vangelo di Luca – quando narra la presentazione al tempio di Gesù – ci mostra una figura simile (anche se passata attraverso diverse situazioni di vita); è la profetessa Anna, di cui si dice: “molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2,36-37). Anna è un’altra presenza femminile unita al tempio, la casa del Signore, il cuore d’Israele.
La festa della presentazione al tempio della Beata Vergine Maria entra ufficialmente nel calendario romano con Papa Sisto V nel 1585, diventando così festa per tutta la Chiesa latina. In questo contesto, poco più di mezzo secolo dopo, nel 1630, a Venezia e in larga parte del Nord Italia si diffuse la grande epidemia di peste che portò il doge e la Serenissima ad indire una solenne preghiera alla Madonna e a fare quel “voto” che condusse alla costruzione della nuova chiesa – intitolata, appunto, alla Madonna della Salute – presso la quale la città di Venezia, da allora, avrebbe rinnovato ogni anno, in segno di ringraziamento e devozione, il suo pellegrinaggio.
È magnifica questa basilica, non solo perché è bella in sé ma anche perché appartiene alla storia del nostro popolo; è nostra, è la nostra casa di famiglia e dove c’è la madre là c’è la famiglia. Fabrizio De Andrè – che pure non è un Padre della Chiesa – diceva di sua madre: è stata il collante di casa. E noi sappiamo che la donna ha una funzione particolare nel momento dell’accoglienza. Oggi, poi, viviamo in un tempo che dobbiamo declinare di più al femminile e meno al maschile.
La festa odierna si innesta, dunque, sul tronco preesistente che ci riporta alla bella e antica festa mariana della presentazione al tempio della Vergine e che attesta la appartenenza di Maria, da sempre, a Dio.
Vorrei soffermarmi, ora, su un tema importante e che rimanda alla recente festa di Tutti i Santi, che abbiamo celebrato il primo giorno di novembre. I santi sono segni di una vita modellata sulla vita del Santo per eccellenza, Gesù.
La santità di Gesù, uomo, è per noi il riferimento fondante ma, oltre ai santi, noi guardiamo a Colei che invochiamo come la Regina di Tutti i Santi. Ogni santo appartiene al suo contesto storico e sociale; pensiamo ad esempio ai santi dei primi secoli, a quelli del Medioevo, a quelli dell’epoca moderna e contemporanea.
Quando però guardiamo ai santi e ne ricerchiamo l’imitazione – tanto più nei confronti della Regina dei Santi – non ci soffermiamo tanto sul contesto, all’epoca storica, ma guardiamo come quell’uomo o quella donna di una epoca molto diversa dalla nostra hanno vissuto in maniera piena il loro “sì” a Dio.
La Vergine Maria rappresenta non solo un caso particolare ma il caso unico e pienamente “riuscito”; Maria perciò è stata sempre considerata dalla Chiesa come modello a tutti i fedeli al di là del contesto sociale, culturale e storico. La Nazareth dell’inizio dell’era cristiana per noi sarebbe improponibile. Ma Maria, per ogni cristiano, è esempio perché nella sua condizione di vita ha aderito, in modo pieno, alla volontà di Dio: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Papa Francesco – la settimana scorsa durante la catechesi del mercoledì – ha sottolineato che la Vergine Maria «ci suggerisce due sole parole che tutti, anche i più semplici, possono pronunciare in ogni occasione: “Eccomi” e “fiat”. Maria è colei che ha detto “sì” al Signore e con il suo esempio e la sua intercessione ci spinge a dire anche noi il nostro “sì” a Lui, ogni volta che ci troviamo dinanzi a una obbedienza da attuare o a una prova da superare» (Papa Francesco, Udienza generale del 13 novembre 2024). Pensiamo a cosa potrebbe succedere se queste due parole entrassero davvero nella vita della nostra società, a tutti i livelli!
La Vergine ha accolto la parola di Dio e l’ha messa in pratica; la sua azione è stata animata dalla fede (“beata colei che ha creduto” – Lc 1,45) e dall’amore per Gesù e per la sua opera redentrice nei confronti dell’intera umanità (per questo la troviamo ai piedi della croce).
Maria, come scrive Paolo VI nella “Marialis cultus” – vera ripresa mariologica dopo la crisi successiva al Concilio Vaticano II e nonostante il capitolo mariano della “Lumen gentium” – è “la prima e la più perfetta seguace di Cristo: il che ha un valore esemplare, universale e permanente” (San Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus n. 35). Sì, non Pietro o Giovanni, ma questa donna è stata la prima e la più perfetta seguace di Cristo!
Noi siamo inseriti nello stesso destino di Maria, ma non nello stesso modo. Come Lei siamo chiamati dall’eternità, ma non per svolgere lo stesso compito. Siamo redenti come Lei, ma Lei lo è stata come l’Immacolata, non permettendo che fosse nemmeno toccata dal peccato originale, mentre a noi il peccato originale è stato “rimesso” e continuiamo a portarne le conseguenze. Siamo uniti a Cristo, ma non come Lei lo è stata.
Maria, la Madre di Dio, non è quindi la legge – “nomos” – per il cristiano ma è “canon”, il criterio, la regola della nuova realtà a noi donata nel Battesimo. L’esemplarità di Maria, come modello per la vita del cristiano, e il suo comportamento “mariano” si concretizzano così: il cristiano deve “interpretare”, “tradurre”, “attuare” nella sua vita – dove vive, nel suo tempo, nel suo contesto, nella sua specifica vocazione – quello che Maria, la Madre di Cristo, è stata ed ha operato nella sua condizione “unica” in quanto prima discepola, salvata in un modo sublime.
Come Maria, noi incontriamo Cristo ma in modo diverso. Oggi, per noi, questa interpretazione “mariana” della sequela di Cristo non può essere materialmente duplicata poiché non viviamo nel suo ambiente, anzi siamo in un ambiente molto diverso dalla Nazareth del primo secolo a.C.
Il cristiano oggi vive in un contesto molto secolarizzato e allora – partendo da Maria, modello di vita cristiana – è importante e necessario mostrare come “la figura della Vergine non deluda alcune attese profonde degli uomini del nostro tempo ed offra ad essi il modello compiuto del discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale, ma pellegrino solerte verso quella celeste ed eterna; promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell’amore che edifica Cristo nei cuori” (San Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus n. 37).
La figura di Maria non delude là dove l’uomo moderno attende delle risposte e, quando non riesce ad averle, si traumatizza. E lì dove i problemi non vengono risolti, ma rimossi, diventano ancora più drammatici. Per avvicinarci a Maria dobbiamo partire dall’uomo odierno – e dai suoi atteggiamenti fondamentali – perché solo così è possibile vederla come il “tipo” del discepolo, della discepola, della Chiesa di Cristo.
L’uomo e oggi molti giovani sono alla ricerca spasmodica, disperata, di un senso. Spesso non vi si riesce e si cade in un “male di vivere” e in un vuoto esistenziale che non pochi psichiatri e psicologi arrivano ad indicare come causa di talune nevrosi legate a frustrazione esistenziale e mancanza di senso. Il crescere del numero di persone che “evadono” dalla loro vita – con droga o alcol, con metodi orientali di meditazione ed anche fino al suicidio – è testimonianza di tale vuoto e bisogno.
Ieri sera c’era qui un migliaio di giovani che si sono confrontati su come dare un senso alla propria vita al di là del fatto che la vita sia (solo) un’esistenza biologica. La cosa peggiore che possiamo fare è presentare loro una vita fatta solo di felicità e di contentezza in cui tutto andrà, per forza di cose, bene. Certo, dobbiamo incoraggiare e ricordare che ci sono degli elementi imponderabili anche positivi nella vita delle persone, ma dobbiamo abituarci tutti ai diritti e ai doveri. Dobbiamo abituarci tutto al fatto che il mondo è fatto anche di sofferenza, non per stare a godere della sofferenza ma per poter essere persone che camminano con i piedi per terra.
La risorsa del cristiano, allora, non è una fede “fideistica” o che vive solo in chiesa ma poi non esiste nella società. La risorsa del cristiano viene dalla vita di Maria, beata perché “ha creduto” (cfr. Lc 1,45). La fede è in grado di dare un senso alla vita, partendo dalla dimensione umana del vivere; certo, per andare oltre ma senza cancellare il bisogno di senso, verità, amore.
È una fede che ama la ragione, che ama i sentimenti, che ama le relazioni umane, che ama la giustizia e, insieme, la misericordia perché la pura giustizia da sola non porta da nessuna parte e diventa una legge intollerabile e insopportabile. La fede è quell’aprire a qualcosa che va al di là, ma è trovare anche una mano che ci accompagna qui e ora. Questa è la fede “cristologica”: Cristo, infatti, ci apre al rapporto con il Padre ma, nello stesso tempo, è quella mano che ci sostiene e ci accompagna.
La fede – con la ragione – dà voce alla verità dell’uomo. Uno dei compiti più urgenti, oggi, sul piano dell’evangelizzazione e dell’educazione cristiana, consiste nell’indicare a tutti – a noi stessi e in particolare ai più giovani, alle persone fragili e a chi vive momenti di difficoltà, morale, psicologica o fisica – il senso della vita.
Dio non è solo la fonte dell’essere ma è anche l’origine del senso. E lo possiamo vedere in maniera efficace proprio guardando a Maria: è nella fede che l’uomo coglie Dio come il senso primo e ultimo della sua vita.
Quando il Nuovo Testamento presenta Maria, la descrive come la credente: la fede è il fondamento della sua vita e, per questo, è capace di non venir meno e di portare a compimento la sua vita. Forse spesso abbiamo guardato a Lei come ad una creatura a cui tutto andava bene e per la quale tutto era facile – certa pietà mariana l’ha ridotta a qualcosa di devozionistico… -, ma questa idea di Maria non corrisponde alla vita reale di questa fanciulla divenuta Madre del Signore. Dobbiamo recuperare il fatto che la nostra fede non è devozionistica perché la nostra fede ama l’umano. “Caro cardo salutis”, diceva Tertulliano; la carne è il cardine della salvezza. “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
A Maria è stato riservato un destino apparentemente e, in partenza, quasi privo di senso; apparteneva ad un popolo misero (il popolo d’Israele era un nulla di fronte alle potenze politiche, culturali, economiche e militari dell’epoca), apparteneva ad un popolo che viveva un’attesa sfibrante del Messia e solo la voce dei profeti teneva desta tale fede e speranza. Maria, poi, si trovava di fronte a qualcosa di impensabile: una maternità verginale. Era una fanciulla tutta dedicata a Dio ed ecco il perché della domanda rivolta all’angelo: come è possibile? (cfr. Lc 1,34).
Sempre a proposito di una vita non facile, pensiamo a Gesù dodicenne smarrito e ritrovato nel tempio e al dialogo seguente: “«Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»” (Lc 2,48-49).
Sì, per Maria viene presto il momento di farsi da parte; lo attesta anche l’episodio del Vangelo delle nozze di Cana, con le parole dette ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). È questa una pagina centrale del Vangelo di Giovanni, è Lei che sollecita l’intervento di Gesù – la sua “ora” – e però è in grado anche di mettersi da parte.
Struggente è poi l’immagine di Maria sotto la croce, rassicurante quella al Cenacolo quando la prima Chiesa è confusa e lo Spirito Santo non è ancora sceso (e Lei è al centro della Chiesa), come pure i silenzi di Maria provata da una vita di comunione strettissima con Gesù. Solo la fede nel Dio della grazia Le ha permesso di superare tutto questo.
Maria è il criterio cristologico e trinitario; all’interno della Trinità c’è un rapporto con Maria che è sposa, figlia e madre.
La festa odierna della Salute e la vita di Maria ci attestano che la fede non è l’oppio dei popoli, come sosteneva l’oggi defunta filosofia marxista che però ha lasciato tracce pesantissime dove il socialismo reale si affermò. Possiamo dire che la fede è, al contrario, “l’esistenziale” che consente di venir umanamente a capo del proprio destino.
Penso qui alle sofferenze di tante mamme e tanti papà, alle fatiche di parecchi adolescenti e di molti malati, a chi è negli ospedali e a chi è nelle carceri (è un problema, questo, che ci riguarda).
La fede ci mostra come “l’esistenziale” soprannaturale ci aiuta a far giungere a pienezza la nostra vita e la nostra vocazione scoprendo la fede “mariana”, interpretata all’interno della nostra vita.
Noi siamo chiamati a guardare in alto camminando con i piedi per terra. In questo cammino non siamo soli, ciascuno di noi deve fare la sua parte. Chi crede sa che, anche se dovesse cadere, può contare sulla misericordia di Dio che ci tende la mano e ci rialza. Non cade solo chi non cammina o non si alza al mattino dal letto; chi nella vita fa qualcosa cade e mette in conto anche di poter sbagliare. E proprio il rialzarsi, per il cristiano, è segno del vero progresso e della crescita della vita cristiana.
Mi piace ricordare che qui a Venezia abbiamo la basilica di San Marco, il primo Evangelista, e poi abbiamo il tempio della Salute e quello del Redentore. Ogni tanto, nei momenti della fatica e dello sconforto, alle soglie dell’Anno giubilare, pellegriniamo in questi luoghi dove l’ottimismo umano si lega alla misericordia di Dio.
La Madonna della Salute ci è maestra nell’essere credenti con una pienezza che è il risultato di un sì umano, forte e coraggioso e che diventa il grembo materno per la Chiesa, di oggi e di sempre.
Buona festa della Madonna della Salute a tutti!